Le mele erano rosse nel gran piatto sopra il tavolo della cucina, le piante di oleandro intorno la casa cantoniera sfiorite per il gran caldo. Carlo era apparso dal muretto. Poi era corso lungo il sentiero che attraversa il prato e rasenta la ferrovia. Andava lì di nascosto dopo pranzo e si divertiva a lanciare le canne secche sui binari. Quando c'era qualcuno in vista quel gioco era proibito e allora si metteva a catturare i grilli, respirando a pieni polmoni l'odore della sterpaglia che cresceva alta. O si accucciava nell'erba a sentire i treni. All'ora di merenda correva indietro con i sandali saltando oltre la strada. Mangiava pane e prosciutto tagliato a pezzettini, un bicchiere di latte, poi tornava nei campi. E quando non aveva voglia di girare troppo, si metteva a osservare le piante. C'era quella specie di melone peloso che schizza lontano se lo tocchi, la malva con i fiori che si possono essiccare e usare come camomilla, il prezzemolo nei vecchi fusti di petrolio tagliati a metà, le spighe di falso grano, quelle che si tirano come freccette e si attaccano ai capelli, l'ortica, il rosmarino, l'asparagina (con le palline rosse bellissime) e lungo il filo spinato quelle piante che fioriscono di notte. |
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