Negli ultimi anni un numero nutrito di fotografi è tornato a concentrarsi sugli sviluppi dei grandi centri abitati, profondamente modificati, spesso stravolti, dai massicci inurbamenti causati dalla globalizzazione. Se ne parla con Ryan Koopmans, fotografo olandese-canadese e autore del photo-book “Vantage”, di recente pubblicazione.
In sé, fotografare la città non è un fatto nuovo. La prima fotografia in assoluto, del 1826, ritrae un centro abitato (Saint-Loup-de-Varennes, in Francia); ampiamente fotografati e documentati sono stati gli sviluppi delle città nordamericane ed europee prima e dopo la guerra, poi durante tutta la ripresa economica, fino ad arrivare ai giorni nostri. Particolarmente rilevante è stata la scuola di Düsseldorf, che negli anni ’70 ha rinnovato un interesse per le cittá con interpreti come Thomas Struth e Andreas Gursky – che Koopmans cita tra i colleghi che sono stati per lui fonte d’ispirazione, insieme all’italiano Luigi Ghirri – fotografi che hanno reso meglio di altri le singolaritá e i pattern specifici della nuova metropoli.
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