Come nota acutamente Kristie T. La su The Harward Crimson, gli spazi di arte contemporanea si sono trasformati negli anni in giganteschi non-luoghi internazionali, sempre meno connotati dagli elementi del territorio circostante: "Con le fiere d'arte e le biennali, gli spazi non sono necessariamente permanenti, ma vengono occupati per qualche giorno, una settimana o un mese. [...] Non sei a Berlino, Londra, Basilea, Mosca o Miami, ma in una qualche sospensione artistica: la convergenza tra lo spazio dell'arte autonoma, il design modernista elegante e il mercato senza precedenti dell'arte contemporanea."
Il mondo dell'arte è un mondo sempre più deterritorializzato. Qui, nell'accezione deleuziana, non si intende un ambiente scollegato dalla vita reale e pertanto chiuso (si pensi ad esempio il circuito internazionale del tennis o della Formula1): stavolta è il mondo stesso che si apre e fa iperconnesso, le frontiere oscillanti e porose (Hong Kong, Singapore, UK / EU, Africa / Sud Europa) si offrono come luogo di raccoglimento, della ridefinizione, dello sradicamento.
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